“…Plik guardò a lungo col binocolo, poi lo passò a me.
Una colonna scendeva i roccioni sulla sinistra del ponte di blocco,(…)Fu allora che venne fuori il Tedesco insieme al giovane
Mancini.( In bicicletta!)(…)Strano connubio, un giovinetto e un uomo fatto, l’uno che combatte per il suo paese e l’altro che si ribella ai connazionali: due lingue diverse, due generazioni quasi(…)Si lanciarono di corsa e li vedemmo sparire dopo la prima curva (…) E i tedeschi seguitavano a scendere, possibile che non li vedessero? che non li impallinassero come due lepri? E per noi era finita, non si può spuntarla contro i carri armati, noi e i nostri fucili da bracconieri, è triste morire così giovani, sporca bastarda guerra che dovrebbero farla quelli che la strombazzano invece se la godono e fanno i quattrini, e poi un boato e un altro ancora rimbalzato dalle costiere ricolme di neve, riverberato nei nostri occhi lucidi e la certezza che non sarebbero più passati(…)(Armando Canova “Biondo”)
“…I tedeschi sparavano con armi automatiche con un fuoco infernale (…). Noi rispondevamo sparando alla cieca nella nebbia, mentre Plik gridava di non sprecare munizioni. Ma subito dopo, incredibilmente la nebbia si alzò e vedemmo una decina di tedeschi sdraiati alla curva della strada che strisciavano indietro cercando di nascondersi nella neve (…)Da più lontano arrivava una sparatoria intensissima. Vedevamo arrivare i traccianti delle mitragliatrici e il fumo dei colpi sui blocchi di roccia dietro cui eravamo appostati. Raymond (fratello di Carla Bibois) fu ferito leggermente da una scheggia di pietra. Da parte nostra rispondevamo con l’unica mitragliatrice (in mano a Sergio Mancini), i mitra di Canova e di Angelo Bianchi (il quale accompagnava le raffiche con grida di guerra da indiano!), i fucili e i moschetti 91.
Avevamo pochissime munizioni , personalmente avevo una decina di caricatori; all’inizio avevo paura con la sensazione di avere davanti solo della neve, non sapevo che in realtà la neve ammortizza molto bene i colpi. Sparavo troppo in fretta, poi mi calmai vedendo a fianco a me Saltafossi (di poco più vecchio di me) che usciva dal riparo sdraiato mirando con cura. Col passare del tempo fui preso invece da una specie di euforia per la sensazione che stavamo vincendo”.(Piero Elter-continua)
FOTO:
il ponte di Chevril