Il 31 agosto, dopo una mattinata piovosa, lavorammo solo dalle 13,45 alle 18,30 , si trattava di livellare del terreno trasportando sabbia da una parte all’altra. L’ambiente era molto diverso da quello dei campi che conoscevamo: si trattava in prevalenza di giovani fuggiti in Svizzera dalle zone di confine appena dopo l’armistizio: Il livello culturale era basso e la preparazione politica pressoché nulla…(A.Decima op.cit:)
Le seguenti cifre riferite alla primavera 1944 danno un’idea del fenomeno rifugiati civili: 9.300 dei circa 25.000 profughi civili vivevano in campi e centri collettivi – 3.000 aspettavano nei campi di smistamento – 5.300 abitavano presso parenti e in pensioni – 1.600 uomini e donne lavoravano in agricoltura o presso famiglie – 2.500 bambini risultavano ospiti di famiglie affidatarie.
I rifugiati politici seguivano lo stesso iter burocratico dei rifugiati civili; essi tendevano però a formare una casta separata, alimentando fra di loro, sia col dialogo diretto sia attraverso la corrispondenza, l’ideologia per cui avevano combattuto e subito l’esilio.
Anche per un rifugiato politico esisteva la possibilità di vivere fuori dai campi e dai centri in un regime di semi libertà. Ciò poteva avvenire solo dopo un certo periodo di tempo passato nei campi e a seguito di un lungo iter burocratico che prevedeva oltre alle garanzie economiche anche l’interessamento di un cittadino svizzero che si facesse garante per lui; inoltre la comunità presso cui intendeva risiedere doveva dare parere favorevole così come era necessario il parere favorevole del Cantone in cui era la località della futura residenza.
Ottenuta questa possibilità, il rifugiato era libero di muoversi nell’ambito territoriale su cui aveva giurisdizione la Polizia locale; per qualsiasi spostamento al di fuori di quel territorio anche per un solo giorno occorreva l’autorizzazione, pena la perdita del diritto così faticosamente ottenuto.