“…Ero una rotella piccolissima dell’ingranaggio e volevo svolgere i miei compiti al meglio. Un soldatino e niente di più: con tante esperienze sui libri, nessuna nell’esercito e nella guerra e ben poche in qualsiasi altro campo, se si esclude l’alpinismo, che è pur sempre una buona scuola di vita…
I discorsi con i molti amici tra i miei compagni, Franco Berlanda “Grigia”, Armando Canova “Il Biondo Malefico”, Ruggero Cominotti “VInassa”, Nello Corti “Nello”, Gian Casé “Katiuscia”… i miei compagni erano tutti, anagraficamente, cresciuti e formati in epoca fascista, non avevano ricevuto informazioni su quanto di “altro” succedesse nel mondo e nella Storia, avevano assistito… alle sconfitte del regime, che tuttavia era riuscito a tenere in piedi una facciata di struttura dello stato… Ma l’8 settembre non avevano avuto esitazioni e avevano compiuto in totale naturalezza una scelta di campo, quella dell’antifascismo(…) E.G.Tedeschi
02/12: Cesare Ollietti
Dopo la morte di Chanoux emerge come leader della resistenza valdostana l’avvocato e capitano di complemento Cesare Ollietti “Mézard”,già ufficiale sul fronte francese e in Jugoslavia, forse il più unanimamente stimato dei comandanti partigiani .
Comandante del Settore Alta e media Valle d’Aosta dai primi di agosto 1944, autonomista; sposa Renata Aldovrandi nell’autunno – pare al Colle del Gran San Bernardo – muore in un incidente automobilistico nel 48.
Tutta la sua vicenda politica e militare indica lo sforzo di mantenere una rigorosa indipendenza della propria persona e del movimento stesso da ogni tentativo di strumentalizzazione;
FOTO
-Aosta, 26 settembre 1948. Funerali del comandante partigiano Cesare Ollietti “Mésard”. Al centro, Giulio Dolchi (Foto Octave Bérard).
-Riunione clandestina presso il comando di settore. Al centro Cesare Ollietti “Mésard”, a destra il comandante della 1a divisione Giuseppe Cavallero “Guarini”.
05/12: Ugo Pecchioli
UGO PECCHIOLI
( 1925- 1996), due Croci al valor militare, pubblicista, parlamentare e dirigente comunista.
Il 25 luglio 1943, Pecchioli, che si trovava in Valle d’Aosta, fu arrestato con Giorgio Elter per aver partecipato ad una manifestazione di esultanza per la caduta del fascismo. Espatriato in Svizzera dopo l’8 settembre 1943 prende parte alla Guerra di liberazione, come partigiano combattente nella formazione “Arturo Verraz” operante a Cogne. DOPO IL 2 NOVEMBRE passa con la formazione in territorio francese da poco liberato. Rientrato in Italia, nell’alto Canavese, è nominato capo di stato maggiore della 77ª Brigata Garibaldi “Titala”. Partecipa alle azioni di guerra e nello stesso tempo, organizza i collegamenti tra la Francia e le zone dell’Italia liberata. Nella primavera del 1945, Ugo Pecchioli è nominato ispettore di Divisione e con questo ruolo partecipa alla battaglia per la liberazione di Torino.
15/11: Intervista a Cipriano Savin
“… All’Ospizio si entrava dal primo piano perché la neve era tanta. Ci hanno accolti con calore e papà ha fatto una cosa che non faceva mai: mi ha abbracciata. Mo ha abbracciata e ha detto: “Ce l’abbiamo fatta!”(O Elter continua…)
«Quando sono arrivati i fascisti a Cogne, noi che eravamo in Francia siamo stati licenziati in tronco: io avevo già 26 anni di lavoro, e a mia moglie furono tolte tutte le tessere. Con l’amnistia di Mussolini, che liberava chi si fosse arreso, due squadre erano ritornate: io sono stato in Francia fino alla primavera del 1945, prima con gli americani e poi con gli inglesi.(Cipriano Savin – intervista
13/11: Il proclama Alexander
Il 13 novembre viene diramato il proclama con le nuove disposizioni del comandante del corpo di spedizione alleato in Italia. Il famoso proclama ALEXANDER che invita il movimento partigiano a rinunciare alla lotta, pur conservando munizioni e materiali, fino a nuovo ordine.
“…Ricordo una bella scodella di latte caldo…Abbiamo però dormito poco dai Fresia, perché siamo ripartiti che era ancora buio e continuava a piovere…Siamo arrivati a St Rhemy che nevicava. Lì c’erano dei partigiani della banda di Silvio, ma pochi, perché si erano ritirati al Gran San bernardo. .. C’era una gran tormenta e tanta neve…I miei calzoni erano bucati e così si erano riempiti di neve. Un partigiano dietro di me, mi teneva la giacca sulla schiena, se no il vento mi faceva cadere. Ricordo una piccola sosta alla prima cantina…” (O.Elter – memorie – op cit)
12/11: Una memoria di R. Tinetti
(…)Fuori c’è un altro camion; su di esso è un’automobile, dove seggono comodamente un ufficiale ed una signora; tutt’attorno casse e sacchi. Mi domando dove ci metteranno noi. Ci issano sulle casse. Mi trovo .. in una penosa posizione colle gambe prese fra due casse. Si giunge ad Aosta dinnanzi alla “Platz Commandantur” [sic]” che ha sede nel Liceo.
Si entra in un ufficio, dove alcuni tedeschi scrivono.
Io vedo una sedia libera ed essendo con le gambe rotte da non poter stare in piedi, mi seggo. Un lurido tedesco mi afferra per un braccio e mi fa alzare con malo modo. (Cominciamo bene, io penso). Dopo qualche tempo, senza che ci sia stata rivolta una parola, si riparte a piedi, scortati da agenti in borghese; uno porta la mia valigia. Per strada siamo oggetto della curiosità dei passanti.
Ci fermiamo alla Caserma Scapaccino. Qui sono tutti i militi che dipendono dall’UPI (Ufficio politico investigativo).
… Un tenente della milizia ci chiede i nostri nomi; ci dice che conosce il Dott. Elter e che egli è stato Dott. in chimica alla “Cogne”, con Benussi. Si chiama Ferretti.
(Ebbene questo tale, che vidi poi molte volte alla Caserma C. Battisti, ha poi sempre evitato di salutarmi).
Lasciamo questa caserma per recarci alla nostra destinazione, cioè alla Caserma C. Battisti. È molto lontana. Io sono stanchissima. Si arriva verso le sei ed è notte. Qui ci riceve un tenente della milizia (che so poi più tardi chiamarsi Galletto) con parecchi militi.
Si scende nel sottosuolo sporco, malamente illuminato.
In fondo al corridoio entriamo in uno stanzone scuro, sudicio, con un piccolo finestrino al livello del suolo esterno. Ci sono alcune brande fornite di un sottilissimo materasso di crine sporco in modo inverosimile. In fondo allo stanzone c’è un lurido secchio per tutti.(R.Tinetti nemoria cit…)
06/11: Un’impresa di Plik
“Plik si mise a capo di oltre duecento persone, fra uomini, donne e bambini per raggiungere la Francia attraverso il Col Lauson alto oltre 3200 metri, l’alta Valsavaranche, il colle del Nivolet, il col Galisia. Una marcia estenuante, che durò quattro giorni nella neve alta quasi un metro; una marcia forse ancor più dura – almeno sotto il profilo dello sforzo fisico – di quella degli alpini del corpo d’armata italiano in Russia nell’ultimo conflitto mondiale. A questi disperati andò bene perché i partigiani della vicina Valsavaranche seppero resistere all’urto dei tedeschi, coprendo loro le spalle.”(N.Giglio – Un’Impresa -, bollettino della biblioteca di Cogne op. cit)
La sera del 6 novembre, oltre 350 persone (partigiani e civili) hanno raggiunto la Val d’Isère(…) A Cogne e in Valsavarenche tornano i nazi-fascisti. In Valsavarenche resiste ancora il piccolo gruppo del Roley di Dante Conchatre(Bob). A Cogne si teme la rappresaglia, in realtà al regime preme la ripresa rapida della produzione mineraria. Un gruppo di persone viene radunato in piazza e si teme la fucilazione; Vengono invece solo bruciate due case, una a Epinel che era stata usata dai partigiani e quella degli Elter sulla strada di Valnontey. Vengono arrestate la madre di Franz , la madre con la sorella di Plik e i genitori di Dulo.
FOTO: Dante Conchatre, Valsavarenche,persone in fuga
04/11: Orsetta Elter racconta
4 nov
“(…)al trenino avevano attaccato i due vagoni passeggeri e continuava ad arrivare gente he voleva scappare da Cogne (in gran parte senza precisi motivi). All’Arpisson il treno si è fermato a lungo. Arrivavano partigiani che non conoscevo. Ad Acque-fredde siamo tutti andati a casa di Vigna, dove c’era un gran pentolone di castagne bollite(…)Gran parte della gente venuta da Cogne è partita subito per raggiungere il fondovalle, alcuni volevano raggiungere la valle del Grande passando da Fenis, … tra questi Renata, il dott. Ravola, Caracciolo che aveva la febbre a 40°(…) E’ venuto Saltarelli e ci ha portati in una sua baita sopra Acque-fredde (…)Piero ha sotterrato il moschetto …” Orsetta Elter – continua
(…)il capo partigiano “Dulo” [Giulio Ourlaz] ci aveva chiesto se volevamo combattere contro i tedeschi ai posti di blocco: ma dopo 48 ore non avremmo più potuto difenderci, senza armi e senza viveri. In una stalla, seduti sulle mangiatoie, decidemmo di partire in 11 verso il Nivolet e di consegnarci prigionieri ai francesi, piuttosto che finire coi fascisti e i tedeschi. La traversata fu tragica: marciando nella neve, con Marco Savin in testa, giungemmo al Nivolet a mezzanotte, dove i Bregoli avevano preparato un po’ di riso.(…)Nella tormenta del giorno dopo, passato il colle dell’Agnello per salire alla Galisia, la neve ci portava indietro: se si fosse staccata una valanga ci avrebbero ritrovati tutti nel lago di Ceresole. …Dovemmo scuotere più volte mio fratello, perché non si lasciasse andare.(Emilio Martinetto – da un’intervista rilasciata a G.Vassoney -continua…)
02/11: Testimonianza di Armando Canova
“…Plik guardò a lungo col binocolo, poi lo passò a me.
Una colonna scendeva i roccioni sulla sinistra del ponte di blocco,(…)Fu allora che venne fuori il Tedesco insieme al giovane
Mancini.( In bicicletta!)(…)Strano connubio, un giovinetto e un uomo fatto, l’uno che combatte per il suo paese e l’altro che si ribella ai connazionali: due lingue diverse, due generazioni quasi(…)Si lanciarono di corsa e li vedemmo sparire dopo la prima curva (…) E i tedeschi seguitavano a scendere, possibile che non li vedessero? che non li impallinassero come due lepri? E per noi era finita, non si può spuntarla contro i carri armati, noi e i nostri fucili da bracconieri, è triste morire così giovani, sporca bastarda guerra che dovrebbero farla quelli che la strombazzano invece se la godono e fanno i quattrini, e poi un boato e un altro ancora rimbalzato dalle costiere ricolme di neve, riverberato nei nostri occhi lucidi e la certezza che non sarebbero più passati(…)(Armando Canova “Biondo”)
“…I tedeschi sparavano con armi automatiche con un fuoco infernale (…). Noi rispondevamo sparando alla cieca nella nebbia, mentre Plik gridava di non sprecare munizioni. Ma subito dopo, incredibilmente la nebbia si alzò e vedemmo una decina di tedeschi sdraiati alla curva della strada che strisciavano indietro cercando di nascondersi nella neve (…)Da più lontano arrivava una sparatoria intensissima. Vedevamo arrivare i traccianti delle mitragliatrici e il fumo dei colpi sui blocchi di roccia dietro cui eravamo appostati. Raymond (fratello di Carla Bibois) fu ferito leggermente da una scheggia di pietra. Da parte nostra rispondevamo con l’unica mitragliatrice (in mano a Sergio Mancini), i mitra di Canova e di Angelo Bianchi (il quale accompagnava le raffiche con grida di guerra da indiano!), i fucili e i moschetti 91.
Avevamo pochissime munizioni , personalmente avevo una decina di caricatori; all’inizio avevo paura con la sensazione di avere davanti solo della neve, non sapevo che in realtà la neve ammortizza molto bene i colpi. Sparavo troppo in fretta, poi mi calmai vedendo a fianco a me Saltafossi (di poco più vecchio di me) che usciva dal riparo sdraiato mirando con cura. Col passare del tempo fui preso invece da una specie di euforia per la sensazione che stavamo vincendo”.(Piero Elter-continua)
FOTO:
il ponte di Chevril
01/11: Plik e Pertini
stavano per arrivare i nazi-fascisti. Plik, sceso da Cogne, ci ha schierati, facendo come una barriera davanti a Vieyes.” (Raffaele Carrara – continua)“Era l’alba del 2 novembre, nevicava da ventiquattro ore(…)Da basso Plik mi mise al corrente: “Qualcuno è salito da Aymavilles ad avvisare il posto di blocco, tre colonne, la più numerosa con carri armati lungo la strada, le altre due in alto sulle dorsali certo per prendere il ponte alle spalle…. (testimonianza di Armando Canova(Biondo))”… Erano le quattro di mattino quando il giovane partigiano Armando Carlin giunse trafelato al posto di blocco del ponte di Chevril (…)
Ebbi da Mésard l’ordine di farlo saltare (…). Ricordo i visi atterriti …ricordo Domenico Tripodi con la sua mitragliatrice “Breda” in spalla; ricordo il volto disperato del partigiano Gigi Sartor incapace di manovrare l’esploditore elettrico per far saltare il ponte. Perché? Una molla dell’apparecchio era andata fuori posto e la manovella non faceva più presa sull’incastro che avrebbe dovuto provocare l’esplosione. (Nino Giglio -La Gazzetta del Popolo del 2-11-69)
“… Fu allora che Marco Corti ( anche lui diciassette anni, fratello di Nello) decise di scendere sulla strada dicendomi:”Il bello sarà lì!” Poi, fu proprio un suo sparo isolato – aveva visto delle ombre che avanzavano – a scatenare la battaglia!
Ho perso di vista Pertini durante il combattimento perché non era vicino a me. Si trovava probabilmente un po’ più in alto insieme al prof. Corti (di cui invece era impossibile non accorgersi perché gridava continuamente alzandosi in piedi, per incitarci e darci fiducia!”(Piero Elter – continua)
FOTO: Marco Corti nel 45, la neve a Vieyes, Pertini e Voltolino, avamposto nella neve