16/11: Ricordi di Cipriano Savin

…Ricordo la saletta da pranzo dell’ospizio, che mi faceva pensare a Colonna, ricordo l’odore…il letto più comodo del mondo, con grandi cuscini di piuma, e la colazione il mattino, col latte, cacao, pane e uno squisito formaggio vallesano. I doganieri svizzeri avevano un grande cappello con la tesa rialzata. Ci hanno subito detto che non era sicuro che potessimo rimanere in Svizzera. La mamma si è arrabbiata, gli ha detto che se non ci facevano entrare erano dei criminali, perché era come se ci fucilassero, noi indietro non potevamo tornare. Poi ci hanno chiesto se avevamo denaro e valori. Avevamo 1000 franchi che ci aveva dato Fresia. Gli abbiamo consegnato i mille franchi e così siamo poi entrati in Svizzera senza un soldo. Quanto ai valori, cuciti nei miei calzoni , c’erano tre portasigarette d’oro, che un certo Lolli, ebreo, aveva lasciato in custodia a mio papà.Quelli non li abbiamo consegnati e sono poi stati restituiti ai suoi famigliari, a Losanna…(Orsetta Elter op. cit….)

…Ricordo l’incidente che costò la vita a 84 prigionieri inglesi e tre guide italiane, tutti morti nella tormenta. In primavera, con un cappellano inglese fui mandato a dissotterrare i morti, ai quali dovevamo prelevare la piastrina, bagnandola con l’acqua calda a causa del gelo. Un brutto lavoro, meglio sulla Galisia con la neve fino alla cintola e 30 gradi sotto zero. Ma è passata e sono ritornato. La Cogne allora mi ha pagato tutte le giornate, come se avessi lavorato(Cipriano Savin memoria cit)…

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14/11: O. Elter e Ernesto Breuvé raccontano

“Quando siamo finalmente arrivati all’albergo Italia ci hanno accolti con grandi feste i partigiani di Silvio e quelle persone partite con noi da Cogne, che erano subito scese a Fenis la sera del 2 novembre.. Ricordo Renata e poi c’era il padre di Mésard e un certo Duc. Ci hanno dato la cena e Silvio serviva in tavola come il cameriere di un ristorante di lusso. Ci dicevano “fermatevi qui”, ma la mamma ha voluto andare subito all’ospizio, così siamo usciti di nuovo nella tormenta, ma non mio è parso lungo, quel tratto, perché era in piano…”(O.Elter op cit)
“Dopo la liberazione mi reco a Cogne in bicicletta con mia moglie, la piccola partigiana che qui avevo incontrato: ci siamo sposati da partigiani con matrimonio segreto. Passo a trovare il Sig. Arizio, felicissimo di trovarmi vivente in quanto non aveva più avuto mie notizie, mi dice ancora che mi si è molto affezionato, come un padre, dice. Poi cambia il discorso, mi racconta che a causa mia ha rischiato la vita, che quando al mattino successivo alla nostra evacuazione si rese conto di cosa poteva succedere, raccolse tutti i miei disegni e programmi di lavorazione e li gettò in un tombino di scarico all’esterno dell’officina.Quando giunsero i tedeschi, che evidentemente erano al corrente di quanto ivi avveniva, videro nella neve la traccia del passaggio verso il tombino e, sollevatone il coperchio, vi trovarono parte del materiale compromettente che a causa del gelo vi era rimasto impigliato.Il comandante voleva fucilarlo, ma lui dette tutte le colpe al ferocissimo partigiano Technical, agli ordini del quale lui e tutti quanti i meccanici erano stati costretti a lavorare contro la loro volontà. Questa giustificazione, ribadita da altri presenti, convinse il tedesco a risparmiargli la vita.”(Ernesto Breuvé “Technical” – testimonianza cit)

28/11: E.G. Tedeschi parla di Grigia

“…Ero una rotella piccolissima dell’ingranaggio e volevo svolgere i miei compiti al meglio. Un soldatino e niente di più: con tante esperienze sui libri, nessuna nell’esercito e nella guerra e ben poche in qualsiasi altro campo, se si esclude l’alpinismo, che è pur sempre una buona scuola di vita…
I discorsi con i molti amici tra i miei compagni, Franco Berlanda “Grigia”, Armando Canova “Il Biondo Malefico”, Ruggero Cominotti “VInassa”, Nello Corti “Nello”, Gian Casé “Katiuscia”… i miei compagni erano tutti, anagraficamente, cresciuti e formati in epoca fascista, non avevano ricevuto informazioni su quanto di “altro” succedesse nel mondo e nella Storia, avevano assistito… alle sconfitte del regime, che tuttavia era riuscito a tenere in piedi una facciata di struttura dello stato… Ma l’8 settembre non avevano avuto esitazioni e avevano compiuto in totale naturalezza una scelta di campo, quella dell’antifascismo(…) E.G.Tedeschi

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02/12: Cesare Ollietti

Dopo la morte di Chanoux emerge come leader della resistenza valdostana l’avvocato e capitano di complemento Cesare Ollietti “Mézard”,già ufficiale sul fronte francese e in Jugoslavia, forse il più unanimamente stimato dei comandanti partigiani .
Comandante del Settore Alta e media Valle d’Aosta dai primi di agosto 1944, autonomista; sposa Renata Aldovrandi nell’autunno – pare al Colle del Gran San Bernardo – muore in un incidente automobilistico nel 48.
Tutta la sua vicenda politica e militare indica lo sforzo di mantenere una rigorosa indipendenza della propria persona e del movimento stesso da ogni tentativo di strumentalizzazione;
FOTO
-Aosta, 26 settembre 1948. Funerali del comandante partigiano Cesare Ollietti “Mésard”. Al centro, Giulio Dolchi (Foto Octave Bérard).
-Riunione clandestina presso il comando di settore. Al centro Cesare Ollietti “Mésard”, a destra il comandante della 1a divisione Giuseppe Cavallero “Guarini”.

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05/12: Ugo Pecchioli

UGO PECCHIOLI
( 1925- 1996), due Croci al valor militare, pubblicista, parlamentare e dirigente comunista.
Il 25 luglio 1943, Pecchioli, che si trovava in Valle d’Aosta, fu arrestato con Giorgio Elter per aver partecipato ad una manifestazione di esultanza per la caduta del fascismo. Espatriato in Svizzera dopo l’8 settembre 1943 prende parte alla Guerra di liberazione, come partigiano combattente nella formazione “Arturo Verraz” operante a Cogne. DOPO IL 2 NOVEMBRE passa con la formazione in territorio francese da poco liberato. Rientrato in Italia, nell’alto Canavese, è nominato capo di stato maggiore della 77ª Brigata Garibaldi “Titala”. Partecipa alle azioni di guerra e nello stesso tempo, organizza i collegamenti tra la Francia e le zone dell’Italia liberata. Nella primavera del 1945, Ugo Pecchioli è nominato ispettore di Divisione e con questo ruolo partecipa alla battaglia per la liberazione di Torino.

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15/11: Intervista a Cipriano Savin

“… All’Ospizio si entrava dal primo piano perché la neve era tanta. Ci hanno accolti con calore e papà ha fatto una cosa che non faceva mai: mi ha abbracciata. Mo ha abbracciata e ha detto: “Ce l’abbiamo fatta!”(O Elter continua…)

«Quando sono arrivati i fascisti a Cogne, noi che eravamo in Francia siamo stati licenziati in tronco: io avevo già 26 anni di lavoro, e a mia moglie furono tolte tutte le tessere. Con l’amnistia di Mussolini, che liberava chi si fosse arreso, due squadre erano ritornate: io sono stato in Francia fino alla primavera del 1945, prima con gli americani e poi con gli inglesi.(Cipriano Savin – intervista

13/11: Il proclama Alexander

Il 13 novembre viene diramato il proclama con le nuove disposizioni del comandante del corpo di spedizione alleato in Italia. Il famoso proclama ALEXANDER che invita il movimento partigiano a rinunciare alla lotta, pur conservando munizioni e materiali, fino a nuovo ordine.

“…Ricordo una bella scodella di latte caldo…Abbiamo però dormito poco dai Fresia, perché siamo ripartiti che era ancora buio e continuava a piovere…Siamo arrivati a St Rhemy che nevicava. Lì c’erano dei partigiani della banda di Silvio, ma pochi, perché si erano ritirati al Gran San bernardo. .. C’era una gran tormenta e tanta neve…I miei calzoni erano bucati e così si erano riempiti di neve. Un partigiano dietro di me, mi teneva la giacca sulla schiena, se no il vento mi faceva cadere. Ricordo una piccola sosta alla prima cantina…” (O.Elter – memorie – op cit)

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12/11: Una memoria di R. Tinetti

(…)Fuori c’è un altro camion; su di esso è un’automobile, dove seggono comodamente un ufficiale ed una signora; tutt’attorno casse e sacchi. Mi domando dove ci metteranno noi. Ci issano sulle casse. Mi trovo .. in una penosa posizione colle gambe prese fra due casse. Si giunge ad Aosta dinnanzi alla “Platz Commandantur” [sic]” che ha sede nel Liceo.
Si entra in un ufficio, dove alcuni tedeschi scrivono.
Io vedo una sedia libera ed essendo con le gambe rotte da non poter stare in piedi, mi seggo. Un lurido tedesco mi afferra per un braccio e mi fa alzare con malo modo. (Cominciamo bene, io penso). Dopo qualche tempo, senza che ci sia stata rivolta una parola, si riparte a piedi, scortati da agenti in borghese; uno porta la mia valigia. Per strada siamo oggetto della curiosità dei passanti.
Ci fermiamo alla Caserma Scapaccino. Qui sono tutti i militi che dipendono dall’UPI (Ufficio politico investigativo).
… Un tenente della milizia ci chiede i nostri nomi; ci dice che conosce il Dott. Elter e che egli è stato Dott. in chimica alla “Cogne”, con Benussi. Si chiama Ferretti.
(Ebbene questo tale, che vidi poi molte volte alla Caserma C. Battisti, ha poi sempre evitato di salutarmi).
Lasciamo questa caserma per recarci alla nostra destinazione, cioè alla Caserma C. Battisti. È molto lontana. Io sono stanchissima. Si arriva verso le sei ed è notte. Qui ci riceve un tenente della milizia (che so poi più tardi chiamarsi Galletto) con parecchi militi.
Si scende nel sottosuolo sporco, malamente illuminato.
In fondo al corridoio entriamo in uno stanzone scuro, sudicio, con un piccolo finestrino al livello del suolo esterno. Ci sono alcune brande fornite di un sottilissimo materasso di crine sporco in modo inverosimile. In fondo allo stanzone c’è un lurido secchio per tutti.(R.Tinetti nemoria cit…)

06/11: Un’impresa di Plik

“Plik si mise a capo di oltre duecento persone, fra uomini, donne e bambini per raggiungere la Francia attraverso il Col Lauson alto oltre 3200 metri, l’alta Valsavaranche, il colle del Nivolet, il col Galisia. Una marcia estenuante, che durò quattro giorni nella neve alta quasi un metro; una marcia forse ancor più dura – almeno sotto il profilo dello sforzo fisico – di quella degli alpini del corpo d’armata italiano in Russia nell’ultimo conflitto mondiale. A questi disperati andò bene perché i partigiani della vicina Valsavaranche seppero resistere all’urto dei tedeschi, coprendo loro le spalle.”(N.Giglio – Un’Impresa -, bollettino della biblioteca di Cogne op. cit)

La sera del 6 novembre, oltre 350 persone (partigiani e civili) hanno raggiunto la Val d’Isère(…) A Cogne e in Valsavarenche tornano i nazi-fascisti. In Valsavarenche resiste ancora il piccolo gruppo del Roley di Dante Conchatre(Bob). A Cogne si teme la rappresaglia, in realtà al regime preme la ripresa rapida della produzione mineraria. Un gruppo di persone viene radunato in piazza e si teme la fucilazione; Vengono invece solo bruciate due case, una a Epinel che era stata usata dai partigiani e quella degli Elter sulla strada di Valnontey. Vengono arrestate la madre di Franz , la madre con la sorella di Plik e i genitori di Dulo.

FOTO: Dante Conchatre, Valsavarenche,persone in fuga

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04/11: Orsetta Elter racconta

4 nov
“(…)al trenino avevano attaccato i due vagoni passeggeri e continuava ad arrivare gente he voleva scappare da Cogne (in gran parte senza precisi motivi). All’Arpisson il treno si è fermato a lungo. Arrivavano partigiani che non conoscevo. Ad Acque-fredde siamo tutti andati a casa di Vigna, dove c’era un gran pentolone di castagne bollite(…)Gran parte della gente venuta da Cogne è partita subito per raggiungere il fondovalle, alcuni volevano raggiungere la valle del Grande passando da Fenis, … tra questi Renata, il dott. Ravola, Caracciolo che aveva la febbre a 40°(…) E’ venuto Saltarelli e ci ha portati in una sua baita sopra Acque-fredde (…)Piero ha sotterrato il moschetto …” Orsetta Elter – continua

(…)il capo partigiano “Dulo” [Giulio Ourlaz] ci aveva chiesto se volevamo combattere contro i tedeschi ai posti di blocco: ma dopo 48 ore non avremmo più potuto difenderci, senza armi e senza viveri. In una stalla, seduti sulle mangiatoie, decidemmo di partire in 11 verso il Nivolet e di consegnarci prigionieri ai francesi, piuttosto che finire coi fascisti e i tedeschi. La traversata fu tragica: marciando nella neve, con Marco Savin in testa, giungemmo al Nivolet a mezzanotte, dove i Bregoli avevano preparato un po’ di riso.(…)Nella tormenta del giorno dopo, passato il colle dell’Agnello per salire alla Galisia, la neve ci portava indietro: se si fosse staccata una valanga ci avrebbero ritrovati tutti nel lago di Ceresole. …Dovemmo scuotere più volte mio fratello, perché non si lasciasse andare.(Emilio Martinetto – da un’intervista rilasciata a G.Vassoney -continua…)

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